Nel 1980 la nostra famiglia ha iniziato la sua avventura tra le mura di questo locale. Abbiamo creato piatti, accolto turisti, ascoltato brindisi, suscitato sorrisi e stupore.
Questo è ciò che ci ha reso davvero felici: poter condividere con voi ogni emozione, con passione e competenza.
Quando si è iniziato a ragionare su come festeggiare i 40 anni di questa gestione al Castello, i fratelli Enrico e Lorenzo non hanno avuto dubbi: si inizia con un’intervista a Bruno, origine e radici di tutto questo.
Mi aspettava per le 13 nella hall del suo ristorante e, appena entrata, mi sembrava di aver già capito tutto. Stava caricando la stufa a legna dell’ingresso e aveva ancora il grembiule addosso perché aveva appena finito di sistemare qualcosa in cucina.
Nei suoi occhi azzurri ritrovo subito il guizzo brillante e acuto di Lorenzo, che conosco ormai da diversi anni, e la limpida vivacità di Enrico, che ho incontrato da poco. I suoi gesti sono quelli di chi sa come muoversi, nonostante il duro lavoro e il tempo abbiano lasciato qualche segno sull’andatura ora un po’ incerta. Ma è l’unica cosa incerta che c’è in Bruno, che ha tutta l’aria di essere uno che ha sempre saputo dove andare, zoppicando o meno.
Le guance rosse e le mani grandi e forti gli danno un aspetto Romagnolo, contadino, di chi ha vissuto con i piedi per terra, ma i suoi modi sono di un’eleganza semplice e autentica, di chi ha scelto la gentilezza e l’accoglienza come stile di vita, non solo come biglietto da visita.
Non serve che inizi a parlare per capire che la sua vita ha tanto da raccontare.
Dove ha inizio la storia di Bruno come ristoratore?
Ho iniziato da autodidatta. Gestivo un circolo a Forlì e lì facevo già qualcosa da mangiare per i miei clienti. Poi presi un locale a Milano Marittima. A quel punto gestivo due locali, uno a Forlì e uno a Milano Marittima. Chiudevo alle 10 del mattino a Forlì, quando venivano a darmi il cambio, e andavo ad aprire a Milano Marittima. Poi chiudevo a Milano Marittima e alle 4 del mattino andavo a Forlì. Ci sono voluti tanti sacrifici. A gestire i due locali di solito eravamo in tre: io, un cameriere e un aiuto pizzaiolo. Avevamo l’obbligo di fermarci a Case Murate a lavarci la faccia quando passavamo da un locale all’altro. A inizio stagione c’era meno lavoro, quindi andavo su da solo e facevo il lavoro di tre persone.
Poi presi la Pizzeria del Corso a Forlì e infine il Castello.
In cucina ci ho sempre messo più passione che studio. Il Castello aveva la cucina di sopra dove ora ci sono le suite. Andavamo su e giù, dovevo ascoltare i passi dei camerieri per capire come regolarmi con le tempistiche per l’uscita dei piatti. Che fatica…
Cosa ti ha portato qui?
Mi sentivo stretto alla Pizzeria del Corso. Quel locale era già al massimo del suo potenziale. Il Castello invece l’ho vissuto come una sfida. Tutti mi dicevano che era una follia, che ne sarei uscito malissimo, che sarebbe stato un pozzo senza fondo di spese… mi sconsigliavano tutti di buttarmi in questa avventura. Ma io ho la testa dura.
Questo locale aveva una brutta nomea, anche se non è mai stato vero quel che si diceva, erano state messe in giro dicerie solo per invidia. All’inizio mi ero messo in società con altre persone perché avevo ancora la Pizzeria del Corso in gestione e avevo affidato ad altri i lavori. Ma non ero contento di come li portavano avanti, mi sentivo preso in giro. Quindi una sera sono venuto qui e li ho mandati via tutti. A quel punto ero da solo: mi sono rimboccato le maniche e sono rimasto qui in cucina.
Com’era il Castello quando sei arrivato?
Quando sono arrivato non c’era nemmeno l’impianto di aria calda. Assomigliava più a una capanna che a un ristorante. Ne ha fatti tanti di cambiamenti e credo che ancora ne farà. Vedo la testa dei miei figli che è sempre in movimento. Ora ci penseranno loro.
Non hai mai pensato di rimetterti in società con qualcuno?
Mi sono state fatte tante proposte nel tempo. Mi è spesso capitato che persone importanti mi offrissero occasioni allettanti per cambiare le cose. Ricordo un avvocato di Forlì che mi offrì di rilevare l’attività mantenendo la mia gestione: un affare. Purtroppo mi impose regole e formalità che mi avrebbero snaturato, quindi dissi di no. Io sono Bruno, non voglio far finta di essere diverso. Sono felice che notai, medici e avvocati si trovino a casa in questo locale, ma sono altrettanto contento quando vedo entrare la vecchietta affezionata che lascia i suoi 5 euro di mancia. Per me i clienti sono tutti uguali: famosi, miliardari o gente comune per me poco cambia, l’accoglienza è uguale. Se devo mandare qualcuno a quel paese perché se lo merita lo faccio, chiunque sia… ho sempre lavorato col tovagliolo sulle spalle e continuo a farlo.
Sono mai successe cose strane coi clienti?
Ricordo di un cantante che venne col suo cane lupo e pretendeva che il suo cane potesse fare i bisogni nel mezzo della sala. L’ho gentilmente invitato a… togliersi dalle palle. Io tratto tutti allo stesso modo, così non ho mai avuto problemi con nessuno. Vedevo che negli anni il lavoro aumentava, c’era passaparola, e io ero contento.
Cosa sogni per il futuro?
Che i due fratelli vadano d’accordo. Quel che sarà sarà, basta che i miei figli si vogliano bene.
Qual è il segreto di un ristoratore?
Ci vuole passione. Qua non ci sono festivi, vacanze, niente. Bisogna attenersi alle tradizioni senza dimenticarsi di guardare al futuro. Non dobbiamo perdere le radici, pur andando avanti.
Sei soddisfatto Bruno?
Io molto. Lorenzo ancora no. Sta passando le mie stesse delusioni, e mi dispiace.
Spero che anche lui riesca a portare a compimento i progetti che ha nel cassetto. Purtroppo non tutto dipende da lui però, ci sono persone poco intelligenti in giro e a volte è frustrante dover trattare con diplomazia con chi non è disposto a capire. Ma Lorenzo è tenace e ancora non ha mollato. Gli auguro di aver ragione, che ne valga la pena. Gli auguro tanta felicità.
Non gli ho mai detto “hai sbagliato”, tanto so che è come me, deve sbagliare da solo. Sono contento che da poco abbia il supporto di suo fratello Enrico, insieme si daranno manforte e riusciranno a fare grandi cose.
A chi assomiglia Lorenzo?
Il carattere lavorativo è il mio. L’intelligenza e l’altruismo è della sua mamma. È un bel mix.
Cosa porterà il recente ritorno di Enrico?
Enrico ha studiato all’alberghiera ed è molto preparato. È tornato da poco al Castello ed è entusiasta e propositivo. Enrico oltre a essere creativo ha una buona dose di pragmatismo. Porterà una bella spinta creativa e tecnologica. Mi piace molto vedere i due fratelli che lavorano insieme.
Hai dei rimpianti?
Non lavorativi. Solo personali. Guardo tutto quello che abbiamo realizzato e non riesco a non pensare che manca la persona più importante, la mamma dei miei figli. Non è riuscita a vedere il risultato dei sacrifici che ha fatto. Era una donna famiglia e lavoro, si sarebbe meritata di vedere tutto questo. Credo manchi tanto anche ai ragazzi. Lavoravamo insieme in cucina lei ed io. Averla qui ora sarebbe stato una meraviglia perfetta.
Era brava ai secondi. Io ai primi. Manca tanto… tutto questo è stato possibile soprattutto grazie a lei.
Le lacrime di nostalgia, in quegli occhi fieri e fiduciosi mi suggeriscono che le domande sono finite. In questo momento non mi sembra che serva chiedere altro. La magia del Castello è tutta qui.
(Intervista di Vera Zaccarelli)